Il caso in esame riguarda un soggetto che, dopo aver manifestato alcuni elementi sintomatici dello stato di ebbrezza alcolica ed essersi sottoposto preliminarmente al precursore o pretest, con esito positivo ed attestante una pregressa assunzione di sostanze alcoliche, abbia poi opposto il rifiuto di sottoporsi agli accertamenti tecnici mediante etilometro.
La prima condotta integra astrattamente l’illecito amministrativo di cui all’art. 186, co. 2, lett. A) C.d.s. che punisce con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da € 531 a € 2.125 chiunque guidi in stato di ebbrezza qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 0,5 e non superiore a 0,8 grammi per litro. La giurisprudenza ormai pacifica ammette, infatti, la contestazione dell’ipotesi più lieve prevista dall’art. 186 C.d.s. in difetto di una misurazione tecnica del tasso alcolemico.
La seconda perfeziona, invece, il reato contravvenzionale previsto dall’art. 186, co. 7, C.d.s. a norma del quale, salvo che il fatto costituisca più grave reato, in caso di rifiuto dell’accertamento di cui ai commi 3, 4 e 5, il conducente è punito con la pene di cui al comma 2, lett. c (ossia quelle previste per la fattispecie più grave relativa ad un tasso alcolemico superiore a 1, 5 grammi per litro).
La fattispecie di cui all’art. 186, co. 2, lett. A) C.d.s., a seguito della modifica introdotta dall’art. 33, co. 1, lett. A) della legge 29 luglio 2010, n. 120, è stata depenalizzata e, quindi, oggi costituisce illecito amministrativo. Si ricorderà, comunque, che nella vigenza della normativa precedente la giurisprudenza affermava che il reato di rifiuto di sottoporsi agli accertamenti alcolimetrici ex art. 186, comma 7, C.d.s. fosse una fattispecie autonoma rispetto alle tre ipotesi di reato di guida sotto l’effetto dell’alcool previste dalle lettera A), B) e C) dell’art. 186, comma 2, C.d.s., progressivamente più gravi in ragione di tre differenti soglie “alcolimetriche”, e che potesse concorrere con esse.
Viene da domandarsi se il suddetto principio, sancito dalla giurisprudenza nella vigenza della pregressa disciplina, continui a trovare applicazione allorquando il reato di rifiuto di cui al comma 7 “concorra” con l’illecito amministrativo di cui al comma 2 lettera A).
La risposta può essere affermativa, ma con le precisazioni che seguono sulla competenza a conoscere la condotta antigiuridica, globalmente intesa, e ad irrogare le rispettive sanzioni di natura sia amministrativa (comma 2, lett. A) sia penale (comma 7).
Si rileva infatti che l’interferenza tra le due fattispecie e le due sanzioni, amministrative e penali, trova composizione alla luce di una norma di legge, e cioè dell’art. 24 L. 689/1981.
Il cit. art. 24, titolato “Connessione obiettiva con un reato”, recita al primo comma che “Qualora l’esistenza di un reato dipenda dall’accertamento di una violazione non costituente reato e per questa non sia stato effettuato il pagamento in misura ridotta, il giudice penale competente a conoscere del reato è pure competente a decidere sulla predetta violazione e ad applicare con la sentenza di condanna la sanzione stabilita dalla legge per la violazione stessa”. Il secondo comma dell’art. 24 aggiunge inequivocabilmente che “Se ricorre l’ipotesi prevista dal precedente comma, il rapporto di cui all’art. 17 e’ trasmesso (…) all’autorita’ giudiziaria competente per il reato, la quale, quando invia la comunicazione giudiziaria, dispone la notifica degli estremi della violazione amministrativa agli obbligati per i quali essa non è avvenuta. Dalla notifica decorre il termine per il pagamento in misura ridotta”. Precisa infine l’ultimo comma dell’art. 24 che “La competenza del giudice penale in ordine alla violazione non costituente reato cessa se il procedimento penale si chiude per estinzione del reato o per difetto di una condizione di procedibilità”.
L’art. 24 L. 689/1981 richiede, intanto, la connessione obiettiva con un reato e, comunque, il mancato pagamento in misura ridotta della sanzione per l’illecito amministrativo contestato entro il termine previsto per legge.
Il quesito a cui rispondere, pertanto, attiene il concetto di “connessione obiettiva” tra l’illecito civile e quello penale con conseguente competenza esclusiva del giudice penale. La norma è chiara e ci consente di rispondere agevolmente al quesito: essa infatti dispone che la connessione ricorre quando la sussistenza dell’illecito penale dipenda dall’accertamento dell’illecito civile. In altri termini, nel caso in esame, è evidente che l’automobilista intanto potrà essere dichiarato responsabile del rifiuto di sottoporsi agli accertamenti con etilometro (comma 7) in quanto verranno accertati i presupposti legittimanti la richiesta di tali accertamenti (commi 3, 4 e 5).
La ratio dell’art. 24 L. 689/1981 è quella di concetrare la cognizione dei fatti in capo ad un unico organo giudicante, con esclusione di eventuali pregiudiziali ai danni del giudice penale che, di fatto, si verrebbe a trovare vincolato dall’irrevocabilità di un verbale confermato (se non annullato) dal giudice civile. Per tale ragione si stabilisce che “il giudice penale competente a conoscere del reato è pure competente a decidere sulla predetta violazione e ad applicare con la sentenza di condanna la sanzione stabilita dalla legge per la violazione stessa”. La disciplina mira ad evitare che il giudice penale possa essere “pregiudicato” dalla decisione del giudice civile in ordine alla “violazione non costituente reato” ma in rapporto di connessione obiettiva “qualora l’esistenza di un reato dipenda dall’accertamento di una violazione non costituente retao”.
Si ponga, altresì, attenzione all’ultimo comma del citato art. 24 L. 689/1981 in base al quale in nessun caso vi sarà un vuoto di tutela e di sanzione a carico dell’eventuale trasgressore: la disciplina illustrata è coerente e sistematica.
La giurisprudenza di merito ha già avuto modo di pronunciarsi, accogliendo l’interpretazione qui avanzata. E’ il caso, recentemente deciso dal Tribunale Penale di Treviso, dell’automobilista che, assolto dall’accusa del reato di cui all’art. 186, co. 2, lett. C), C.d.s. (l’ipotesi più grave) per inutilizzabilità dell’esame mediante etilometro, è stato riconosciuto responsabile per l’illecito amministrativo di cui all’art. 186, co. 2, lett. A) C.d.s.. Nella fattispecie, il giudice trevigiano, in applicazione dell’art. 224 C.d.s., trasmetteva poi la sentenza di assoluzione al Prefetto competente per l’applicazione della sanzione amministrativa relativa all’illecito amministrativo che lui stesso (giudice penale) aveva accertato nel procedimento penale. Vi è di più. E’ anche il caso, deciso dal Tribunale Civile di Torino nel 2015 in materia di apparecchi illeciti da gioco, che, in ragione della connessione obiettiva ex art. 24 L. 689 del 1981, ha dichiarato l’Agenzia dei Monopoli e delle Dogane (AAMS) radicalmente incompetente ad irrogare ordinanza ingiunzione per la violazione amministrativa di cui all’art. 110, co. 9, lett- f-ter) T.u.l.p.s., demandando al giudice penale competente per la concorrente fattispecie penale contestata ex art. 4 L. 401 del 1989, la cognizione completa di tutti i frammenti della fattispecie concreta.
Ne risulta allora che, in caso di condanna nel giudizio penale, il giudice applica all’imputato anche la sanzione amministrativa per una violazione “civile”; viceversa, in caso di assoluzione, ed accertata la violazione “civile”, il giudice penale demanderà all’organo competente amministrativo (il Prefetto) l’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria.
Se tale è la disciplina vigente in caso di connessione obiettiva tra un illecito civile ed un illecito penale, l’eventuale verbale di contestazione amministrativa che l’organo accertatore (polizia municipale o stradale, carabinieri ecc.) dovesse contestare in siffatte ipotesi di concorso tra l’illecito amministrativo e quello penale potrà essere impugnato, con conseguente annullamento della sanzione pecuniaria di cui all’art. 186, co. 2, lett. A) C.d.s. per incompetenza dell’autorità amministrativa all’irrogazione della sanzione. Sarà il giudice penale, chiamato a pronunciarsi sul rifiuto all’alcoltest, a verificare anche la sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie amministrativa e, eventualmente, determinare la sanzione corrispondente.