Avvocato Marco Colapinto

Il nesso causale e psichico tra lo stato di ebbrezza e l’evento dannoso del sinistro stradale necessario per la contestazione dell’aggravante ex art. 186, co. 2 bis, C.d.s.

Nelle sentenze di condanna per il reato di guida in stato di ebbrezza è sempre più usuale che i giudici addebitino agli automobilisti la circostanza aggravante di cui all’art. 186, co. 2 bis, C.d.s., ossia l’aver provocato un incidente stradale, soltanto in ragione della misurazione di un tasso alcolemico superiore a quello consentito, senza assolvere adeguatamente l’onere motivazionale loro imposto.

E’ quanto recentemente accaduto in un caso seguito dalla Studio.

Le conseguenze di tale aggravante sono rilevantissime: le sanzioni sono raddoppiate, il conducente non può essere ammesso ai lavori di pubblica utilità, se il tasso alcolemico è superiore a 1,5 g/l la patente di guida è revocata e non può essere evitata la confisca del veicolo di proprietà.

Il principio di diritto da cui dobbiamo partire, nell’esame della questione, è che il mero coinvolgimento in un incidente, da parte di soggetto che trovasi alla guida in stato di ebbrezza, da solo non integra l’aggravante di cui all’art. 186, co. 2 bis, C.d.s. che “pretende che il soggetto abbia ‘provocato’ un incidente e quindi che sia stato accertato un coefficiente causale della sua condotta rispetto al sinistro” (Cass. Pen., Sez. IV, Sentenza n. 37742 del 2013). Affinchè l’evento-incidente possa dirsi concretamente riconducibile alla condotta dell’imputato è necessario un riscontro inequivoco di un obiettivo nesso di strumentalità – occasionalità tra lo stato di ebbrezza del reo e l’incidente provocato in quanto non sarebbe legittima l’inflizione di un trattamento sanzionatorio aggravato a carico di un conducente soltanto per aver versato – illecitamente – in uno stato alterativo nel corso del suo coinvolgimento in un incidente stradale.

Ebbene, nel caso concreto la Corte di Appello competente si spingeva a motivare la propria decisione nei seguenti termini: “a fronte di un elevatissimo tasso alcolemico…è ragionevole inferire che sia stata proprio la ridotta capacità psicofisica a menomare gravemente sia la sua capacità di attenzione, che il Codice della Strada impone come massima durante la circolazione notturna, in centro abitato, sia la capacità di adeguare la condotta di guida alle condizioni della strada, tanto più se assai stretta come lo è la via …”.

Come potete osservare tale passaggio della motivazione della sentenza era viziato dall’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli articoli 40, 41 e 43 c.p., 186 co. 2 bis C.d.s..
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ntanto, perchè si assumeva un dato probatorio inesistente che si sostanzia nella violazione da parte del conducente dei principi informatori della circolazione e delle regole di condotta, quali gli articoli 140, 141 e 142 C.d.s., senza che, concretamente, fossero comminate sanzioni amministrative per le violazioni anzidette da parte degli organi accertatori intervenuti sul luogo del sinistro. Detto assioma non era tale, in quanto abbisognava di dimostrazione, non essendo per sè evidente.
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 giudici di appello, inoltre, ritenevano di desumere dalla relazione dell’incidente stradale, indicante il “punto d’urto” e la “posizione dei veicoli assunta dopo l’urto”, una presunta “notevole forza cinetica” certamente “dovuta all’assoluta incapacità del conducente di adeguare l’andatura alle condizioni di tempo e di luogo, ascrivibile all’elevatissimo tasso alcolemico“. Il corto circuito dell’impianto motivazionale è evidente.

Nella fattispecie concreta, il reato-base (art. 186, co. 2, lett. c, C.d.s.) consiste nell’aver guidato un veicolo sotto l’influenza di un tasso alcolemico superiore a quello consentito. Il reato-circostanziato (art. 186, co. 2, lett c, e comma 2 bis C.d.s.) prevede che la pena prevista per il reato-base sia aggravata “se il conducente in stato di ebbrezza provoca un incidente stradale“.
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o schema è quello del reato aggravato dall’evento.
I reati aggravati dall’evento costituiscono l’espressione forse più tipica dell’antico principio “qui in re illicita versatur tenetur etiam pro casu“: l’evento aggravatore viene accollato all’agente in base al mero nesso causale, perciò a prescindere da qualsiasi requisito di colpevolezza. In passato si riteneva che tali ipotesi di reato rientrassero nel paradigma della responsabilità oggettiva. Dopo la riforma del 1990 il regime di imputazione delle circostanze aggravatrici (art. 59 c.p.) non risponde più alla logica della responsabilità obiettiva, ma presuppone qualcosa di simile alla colpa come coefficiente minimo di responsabilità, sotto forma di conoscenza o conoscibilità del fatto integrante la circostanza. Nei passaggi della sentenza sopra riportati, invece, pare che i Giudici del gravame abbiano seguito un metodo “individualizzante” che, nel ricostruire le vicende, si limita a individuare connessioni tra eventi ben determinati e circoscritti, senza preoccuparsi di rinvenire leggi scientifiche in cui sussumere i singoli accadimenti. O, comunque, pare che si siano limitati a generalizzare immotivatamente il senso comune.
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n ogni caso, essendosi posti i giudici di appello in contrasto con la nota sentenza Franzese del 2002, non è condivisibile l’idea che un evento possa essere considerato il risultato di una condotta attiva od omissiva di un soggetto per il solo fatto che la condotta abbia creato, o aumentato, un pericolo giuridicamente non consentito, sempre che lo stesso pericolo si sia anche effettivamente realizzato nel concreto prodursi dell’evento. Ad essa va obiettato che il criterio dell’aumento del rischio finisce per realizzare una surrettizia trasformazione degli illeciti di danno in altrettanti illeciti di pericolo, con la ulteriore conseguenza di ribaltare il principio in dubio pro reo. Peraltro, nei reati colposi di evento, ove è richiesto che l’evento sia conseguenza della violazione di una regola di diligenza, vi sarebbe un’inutile duplicazione concettuale, atteso che nel nostro ordinamento il nesso di rischio è requisito necessario per la sussistenza della colpa nei reati di evento. Il che ci porta ad accennare soltanto alla cd. causalità della colpa, trattandosi la contravvenzione de qua, aggravata dall’evento-sinistro stradale, di una fattispecie eminentemente colposa.
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‘accertamento relativo ad una fattispecie colposa presenta ineluttabilmente una dimensione ipotetica connessa alla verifica – logicamente successiva a quella concernente la sussistenza del rapporto causale – della evitabilità dell’evento in presenza di una condotta in linea con la regola cautelare. Quindi, è necessaria la sussistenza di un rapporto di causalità tra la condotta colposa e l’evento, che nulla ha a che vedere con la “causalità naturalistica della condotta”.
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etto requisito trova fondamento nell’art. 43 codice penale. L’inosservanza della regola cautelare di condotta costituisce, cioè, la causa dell’evento.
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l problema che si pone consiste nell’individuare il contenuto del nesso normativo sussistente tra colpa ed evento, verificando quando l’evento si è verificato a causa dell’inosservanza della regola di diligenza, di prudenza o di perizia, prescritta nel caso concreto. Il primo requisito necessario, allora, è quello della concretizzazione del rischio o dello scopo di protezione della norma. Si deve verificare, in particolare, la sussumibilità dell’evento determinato dalla condotta trasgressiva di una regola cautelare nel novero di quegli eventi che la regola stessa mirava a scongiurare: l’accertamento della fattispecie colposa deve collegare la condotta ad un evento alla cui prevenzione è preposta la norma cautelare non osservata. In altri termini, l’imputazione dell’evento è condizionata dalla riconducibilità dello stesso proprio a quella sfera di offese tipiche che le norme di diligenza tendono a contrastare. Non è un caso che la giurisprudenza ha ripetutamente affermato, soprattutto in presenza della violazione delle regole antinfortunistiche poste dal Codice della strada, che l’accertata sussistenza di una condotta antigiuridica di uno degli utenti della strada non può di per sè far presumere l’esistenza della causalità tra il suo comportamento e l’evento dannoso, che occorre sempre provare. E’ stato, infatti, statuito che “per poter affermare una responsabilità colposa, non è sufficiente che il risultato offensivo tipico si sia prodotto come conseguenza di una condotta inosservante di una determinata regola cautelare…ma occorre che il risultato offensivo corrisponda proprio a quel pericolo che la regola cautelare violata intendeva fronteggiare…Si evidenzia così la cd. causalità della colpa e cioè il principio secondo cui il mancato rispetto della regola cautelare di comportamento da parte di uno dei soggetti coinvolti in una fattispecie colposa non è di per sè sufficiente per affermare la responsabilità di questo per l’evento dannoso verificatosi, se non si dimostri l’esistenza in concreto del nesso causale tra la condotta violatrice e l’evento” (Cass. Pen., Sez. IV, Sentenza n. 38786 del 26 ottobre 2011).

Nella fattispecie concreta, allora, non è possibile inferire dal mero versari in re illecita, ossia dal condurre un veicolo sotto l’influenza di una quantità di alcool non consentita, l’attribuibilità dell’evento dannoso (art. 186, co. 2 bis, C.d.s.) allo stato di alterazione del soggetto ex art. 40, 41 e 43 codice penale, pena una censurabile analogia in malam partem (Cass. Pen., Sez. IV, Sentenza n. 31360 del 4 luglio 2013).
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evesi poi rammentare che in tema di reati colposi, la natura commissiva della condotta consistente nella trasgressione di un divieto, e quindi in un’azione difforme dal comportamento imposto dalla regola cautelare, implica, per l’accertamento del nesso causale con l’evento, che il giudizio controfattuale sia operato valutando se l’evento si sarebbe ugualmente verificato in assenza della condotta commissiva (Cass. Pen., Sez. IV, Sentenza n. 15002 dell’1 marzo 2011; conforme, Cass. Pen., Sez. IV, Sentenza n. 26020 del 29 aprile 2009).

Quindi la Corte di Appello competente avrebbe dovuto concludere, a seguito di un giudizio controfattuale, che se quella sera il conducente non avesse assunto sostanze alcoliche così violando l’art. 186, co. 2, lett. c, C.d.s., il sinistro stradale non si sarebbe certamente (o con ‘elevatissima’ probabilità) verificato.
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iò che non può difettare è la dimostrazione che un diverso automobilista (il cd. uomo-medio) che non avesse assunto sostanze alcoliche, non sarebbe certamente incorso in un sinistro stradale, nonostante altre cause concorrenti, quali la “circolazione notturna, in centro abitato” e, soprattutto, “condizioni della strada, tanto più se assai stretta come lo è la via…“.

Il ragionamento probatorio utilizzato in sentenza è altresì mancante di uno specifico anello della catena inferenziale. Infatti, la sentenza ha motivato la sussistenza del nesso causale tra la condotta antigiuridica (la guida di un veicolo sotto l’influenza di alcool) ed il sinistro stradale, ritenendo che lo stato di ebbrezza provocato dall’alcool abbia ridotto la capacità psicofisica del conducente, rendendolo incapace di adeguare la condotta di guida alle condizioni della strada e procedere con attenzione. Tuttavia, è un’assioma errato che il ricorrente non fosse capace di attenzione e di adeguare la condotta di guida alla strada, in difetto di una specifica contestazione di illecito amministrativo da parte dei poliziotti intervenuti che effettuavano tutti i rilievi del caso.
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n diverso automobilista, invero, pur non avendo assunto sostanze alcoliche, avrebbe comunque potuto non essere “capace di attenzione” ovvero “di adeguare la condotta di guida alle condizioni della strada” per altri fattori, e, per l’effetto, provocare un sinistro stradale. Si deve rammentare che, a differenza della probabilità statistica, la probabilità logica “seguendo l’incedere induttivo del ragionamento probatorio per stabilire il grado di conferma dell’ipotesi formulata in ordine allo specifico fatto da provare, contiene la verifica aggiuntiva, sulla base dell’intera evidenza disponibile, dell’attendibilità dell’impiego della legge statistica per il singolo evento e della persuasiva e razionale credibilità dell’accertamento giudiziale” (SS.UU. 2012, Franzese).
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on è allora affatto persuasiva e razionalmente credibile una sentenza quando utilizza dati probatori mancanti (l’asserita incapacità di adeguare la condotta di guida alle condizioni della strada ex art. 141, co 3, C.d.s.) ovvero quando giunge addirittura ad “intuire”, senza l’utilizzo di una legge scientifica di copertura e senza disporre del sapere scientifico di un expert witness,una notevole forza cinetica“, e quindi un’alta ed inadeguata velocità del veicolo condotto dal ricorrente, dalla mera lettura dei rilievi e delle misurazioni tecniche dai quali, invece, gli accertatori intervenuti non hanno desunto elementi idonei a contestare all’odierno imputato la violazione di specifiche norme comportamentali (artt. 140, 141 o 142 C.d.s.) integranti, appunto, una colpa di tipo specifico.

Ci si domanda, infine, che rilievo assumemesse nella fattispecie la mancata misurazione della velocità del veicolo coinvolto nel sinistro stradale.
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nfatti, se gli agenti accertatori avessero misurato e calcolato una velocità elevata, si sarebbe potuto arguire un collegamento tra lo stato di ebbrezza, riduttivo delle capacità psicofisiche, e la provocazione dell’incidente stradale. La mancata contestazione di violazioni di norme di comportamento alla guida, invece, impongono di assumere prudenzialmente che, nonostante lo stato di alterazione dovuto all’assunzione di alcool in misura non consentita, l’andatura durante la guida fosse stata regolare, in ogni caso, non fosse predicabile il contrario al di là di ogni dubbio.
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‘altro canto, la mancanza di un nesso obiettivo tra lo stato di ebbrezza e la provocazione del sinistro stradale è ragionevolmente riconducibile ad altre cause, quali, a titolo esemplificativo: i) il manto stradale di tipo acciotolato; ii) lo stretto passaggio tra le automobili parcheggiate lato destro ed i dissuasori metallici parapedonali a “U” lato sinistro; iii) la sporgenza dello spigolo sinistro del veicolo urtato dall’imputato che, pur in sosta in uno spazio consentito, era poco visibile in orario notturno; iv) una colpa generica.
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on solo. Come anticipato sopra, i giudici di appello, nel caso concreto, preso atto del punto d’urto e della posizione dei veicoli assunta dopo l’urto, giungevano ad inferire, in mancanza di valida motivazione, una “notevole forza cinetica” che doveva esssere addebitata “all’assoluta incapacità del conducente di adeguare l’andatura alle condizioni di tempo e di luogo, ascrivibile all’elevatissimo tasso alcolemico“.
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uttavia la “notevole forza cinetica“, quindi l’elevata e non adeguata velocità dell’automobile condotta dal ricorrente, non veniva affermata in base ad alcuna legge scientifica di copertura, con la conseguenza che la correttezza della decisione non può essere nemmeno verificata a posteriori (Cass. Pen., Sez. IV, Sentenza n. 18933 del 27 febbraio 2014) per mancanza di motivazione sul punto. La cinetica, infatti, è la parte della meccanica che studia i fenomeni relativi al moto dei corpi e alle grandezze che li caratterizzano: l’avere i Giudici di secondo grado soltanto indicato il punto d’urto e la posizione dei veicoli assunta dopo l’urto non è sufficiente per addivenire ad una tale conclusione. La personale “intuizione” dei giudici di merito del secondo grado assume, invero, i contorni di un personale punto di vista non sorretto da basi sufficientemente chiare e ponderose.

In conclusione, nell’affrontare casi di automobilisti in stato di ebbrezza e coinvolti in un sinistro stradale, è bene verificare che il giudizio di merito relativo al nesso causale e psichico tra lo stato di ebbrezza e l’aggravante di aver provocato un incidente sia sorretto da una motivazione esistente, non tautologica, rispettosa dei principi della logica inferenziale, e, soprattutto, verificabile in punto di correttezza delle leggi scientifiche di copertura utilizzate in ordine al nesso di causa tra una condotta e la produzione di un evento. 

Avv. Marco Colapinto